Rapito dagli jihadisti, ma sempre fedele a Cristo - www.medjugorje.it
Una storia di fede ma, soprattutto, di coraggio quella che stiamo per raccontarvi. In un luogo dove non sempre è possibile professare liberamente il proprio credo e la propria fede.
Lui si chiama Mathieu e, in Burkina Faso, fa il catechista. Una missione non facile e non semplice se si pensa solo che la religione, in se, non è ben vista in quelle zone. Ma lui non si arrende perché la fede è l’ancora di speranza, non solo della sua vita, quanto anche di quella di molte altre persone.
Proprio nel suo paese è stato rapito dagli jihadisti insieme a sua moglie. Avrebbe potuto rinnegare la sua fede, ma non l’ha fatto.
Davanti a un rapimento, ad una morte che sembra quasi certa se non proprio dietro l’angolo, quello che pensano tutti è quello di rinnegare il proprio credo pur di avere salva la propria vita. Ma Mathieu così non ha fatto, anzi: Cristo, per lui, è qualcosa di davvero grande quanto importante e non può essere messo da parte.
È stato un momento davvero difficile della sua vita, ma lui proprio a Gesù non ha rinunciato. La cattura da parte degli jihadisti, proprio perché cristiano, e il suo esser loro prigioniero per ben 4 mesi. La paura, l’ansia di non riuscire ad uscire vivo da quell’inferno: Mathieu e sua moglie, anche lei rapita, a queste cose hanno pensato.
Partiamo dal fatto che il Burkina Faso è uno dei paesi più pericolosi per i cristiani e lui, che è un catechista, ha una missione ancora più complicata da portare avanti. Durante il suo periodo di prigionia, non ha mai rinnegato la sua fede, nonostante le minacce, la prigionia e la perdita del figlio. E, anche per questo, oltre che per il suo esempio, è stato insignito del premio “Libertà Religiosa 2025” dall’associazione Aiuto alla Chiesa che soffre.
Essere cristiani in Burkina Faso fa davvero paura perché non sono poche le incursioni quanto anche i rapimenti da parte degli jihadisti. Nonostante tutto, Mathieu ha deciso di diventare catechista nel 2003 e, dopo quattro anni di formazione, è stato inviato con la moglie Pauline a Baasmere, nella diocesi di Dori, dove dal 2015 guidava una comunità di circa 150-200 fedeli, come racconta un articolo del sito “Il Timone”.
L’anno 2018, però, è stato il più brutto della sua vita: “Un gruppo venne a casa mia. Mi chiesero di smettere di pregare e di organizzare funzioni religiose. Non portavano armi ed erano vestiti normalmente. Riconobbi alcuni di loro. “Se continui a fare quello che stai facendo, ti accadranno brutte cose”, mi minacciarono” – ha raccontato.
Da lì, poi, la rappresaglia anche contro la popolazione del suo villaggio: tutti erano terrorizzati e non sapevano cosa fare: “[…] Anch’io ebbi paura, ma pensai: “Non posso smettere di predicare la Parola di Dio, è per questo che sono qui” – spiega. Ma non fu la sola incursione degli jihadisti: alla seconda, l’unica cosa che restava da fare era riunirsi e parlare con il vescovo. Potevano fuggire, ma Mathieu decise di restare, mettendo in salvo solo sua moglie e i suoi figli.
“Perché sei ancora qui? Mi chiesero. “Sono un catechista, questo è il mio dovere” – rispose ad un gruppo armato che fece irruzione alla vigilia di Pentecoste del 2018. Da lì la cattura e il trasporto in moto.
Giorni duri furono per lui, soprattutto quando seppe che anche sua moglie era stata rapita: “Ogni giorno minacciavano di uccidermi dicendo: “Normalmente ti taglieremmo la gola, ma puoi scegliere come preferisci morire” – gli dissero i jihadiisti, cercando così di convertirlo con la forza all’Islam.
Cercarono di indottrinarlo, bruciandogli i vestiti e tutto quello che poteva ricondurlo a Cristo: “Durante tutto questo periodo, non smisi mai di pregare. Ricordo che una notte recitai settecento Ave Maria, contandole con dei sassolini. In quel periodo la preghiera era l’unica cosa che mi sosteneva. Non ci sentimmo mai abbandonati da Dio, recitare il rosario ogni giorno mi dava forza” – racconta, ancora, con tanta forza.
Furono liberati dopo 4 mesi: ciò che fu più doloroso ancora fu il ritorno al villaggio, dove tutto era stato bruciato, tranne la sua carta d’identità e la sua Bibbia: “Ciò mi commosse molto: era la Bibbia donatami dal Vescovo quando mi affidò il ruolo di catechista” – ha concluso.