Attacchi d'ansia (www.medjugorje.it)
L’inquietudine per il domani è un sentimento che nasce dall’esclusione di Dio dalla vita dell’uomo.
In un’epoca in cui la pianificazione e il controllo sembrano dominare l’esistenza, la riflessione di un monaco benedettino ci invita a riscoprire la fiducia nella Provvidenza divina e a vivere con serenità il presente, senza lasciarci sopraffare dall’ansia per il futuro.
Sin dal momento in cui Adamo scelse di allontanarsi dalla dolce familiarità con il Creatore, l’uomo ha iniziato a vivere in una condizione di solitudine spirituale. Questo distacco da Dio, che un tempo era percepito come una presenza protettiva tangibile, ha lasciato spazio a paure profonde e a un’ansia crescente. L’uomo moderno, fiero di aver escluso Dio dal proprio orizzonte, si ritrova così schiacciato da preoccupazioni costanti e dalla sensazione che il futuro sia un’incognita minacciosa.
Il monaco benedettino sottolinea che il pane quotidiano dell’uomo contemporaneo è fatto di paura, ansietà e preoccupazione, fino a sfociare nella disperazione. Tuttavia, esiste una via d’uscita da questa tirannia emotiva ed esistenziale: tornare a vivere nella fiducia operosa nella Provvidenza, affidandosi a Dio giorno per giorno senza il peso schiacciante del domani.
Charles Péguy, poeta e pensatore francese, ha espresso con forza questa idea mettendo in bocca a Dio un severo ammonimento contro chi tenta di pianificare ogni dettaglio del proprio futuro come se fosse il vero artefice degli eventi:
«Chi la sera, mettendosi a letto, fa dei progetti per il giorno dopo, costui non mi piace, dice il Signore. Lo sciocco: sa almeno cosa riserverà il domani? Sarebbe meglio che pregasse. Non amo colui che sa quanto io compirò domani. L’uomo forte non è il mio forte» (C. Péguy, Le Mystère des Saints Innocents).
Questa critica divina ci mette in guardia contro la presunzione umana di sostituirsi a Dio nella gestione del tempo e degli eventi. La preoccupazione eccessiva per il futuro, infatti, non solo ci allontana dalla gioia semplice del presente, ma è anche un segno di sfiducia verso la Provvidenza.
La santa di Lisieux, Teresa di Gesù Bambino, conferma questa prospettiva spirituale: «Se penso al domani, temo per la mia incostanza. Sento nascere nel mio cuore la tristezza e la noia. Ma voglio vivere la prova, la sofferenza, mio Dio, solo per oggi» (Mon chant d’aujourd’hui).
Gesù stesso invita a non affannarsi per il domani, ricordando che il Padre celeste conosce i nostri bisogni e che ogni giorno porta con sé le sue difficoltà: «A ciascun giorno basta la sua pena» (Mt 6, 31-34). Questa esortazione biblica sottolinea la necessità di vivere con fiducia nel presente, abbandonandosi alla volontà divina senza ansie inutili.
Non bisogna tuttavia cadere nell’imprevidenza, ossia nell’atteggiamento opposto fatto di negligenza e pigrizia. Il vero abbandono alla Provvidenza è infatti unito alla virtù della prudenza. Come ricorda il padre spirituale J.-P. de Caussade: «Non pensiamo che al presente e abbandoniamo l’avvenire alla Provvidenza. Ancor meglio, è il buon uso del presente che ci assicura l’avvenire» (Lettres spirituelles, 6).
Il Vangelo insegna a pianificare con saggezza e a non rinviare ciò che si può e si deve fare oggi, per evitare di trovarsi impreparati domani (Lc 14, 28-30). La storia di Colbert sotto Luigi XIV è emblematica: di fronte alla scarsità di querce per costruire navi, rispose all’obiezione sul lungo tempo necessario per far crescere gli alberi con una semplice frase di saggezza: «Ah, in questo caso… bisogna iniziare subito!».
Anche la Scrittura testimonia che Dio stesso chiede di prepararsi per il futuro quando necessario, come nel caso di Noè e Giuseppe, che furono incaricati di accumulare provviste in vista di tempi difficili (Gn 6, 21; Gn 41). Persino Gesù, poco prima della Passione, ammonì i suoi apostoli a prendere con sé ciò che serve per affrontare i pericoli imminenti (Lc 22, 35-36).
Questo equilibrio tra fiducia e responsabilità ci conduce a una forma di abbandono che non è rassegnazione, bensì una saggia cooperazione con la volontà di Dio, che governa il tempo e gli eventi.
Madame Élisabeth, sorella di Luigi XVI, nella prigionia che la conduceva al patibolo, pronunciava ogni mattina una preghiera di totale affidamento alla volontà divina:
«Cosa mi accadrà oggi, mio Dio? Non lo so. Tutto quello che so, è che non mi accadrà nulla che voi non avete previsto, sistemato e ordinato dall’eternità. Questo mi basta, mio Dio, questo mi basta… Voglio tutto, accetto tutto, tutto vi offro in sacrificio, e unisco questo sacrificio a quello di Gesù Cristo, mio divino Salvatore».
Questa totale sottomissione all’azione di Dio nel presente unisce il sacrificio personale a quello del Calvario, trasformando ogni giorno in un «momento favorevole» per incontrare il divino (2 Cor 6, 2).