Nelle notti più buie dell’anima e nei deserti della vita, dove tutto sembra vacillare, una sola verità rimane salda come una roccia: il Signore è il mio pastore.
Non è solo un versetto poetico o un’antica preghiera, ma una realtà viva, una promessa eterna che attraversa le generazioni e si compie in ogni cuore che si affida a Dio. Nella confusione del mondo, Egli ci guida, ci nutre, ci protegge, ci consola. In mezzo alle prove, il Pastore divino ci parla, ci chiama per nome e ci conduce verso pascoli di pace. Questa è la certezza dei credenti, fondata sulla Parola di Dio e custodita dal cuore della Chiesa.
Guidati dal Pastore
“Mentre percorriamo i corridoi del tempo, sentiamo le campane del cielo suonare per darci il benvenuto a casa”: questa immagine poetica e profonda ci riporta a una verità che il cuore umano anela da sempre — non siamo soli nel cammino della vita. Anche quando la strada si fa stretta, impervia, e le lacrime solcano il volto, Gesù è con noi. Come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica, il Padre ha mandato il Figlio e lo Spirito Santo per essere sempre presenti nel mondo e nella Chiesa.
La promessa che ci rivolge Gesù — “Nel tempo della difficoltà non ti abbandonerò” — non è solo consolazione, ma fondamento di una fede matura. Come insegna san Paolo nella lettera ai Filippesi (4,19), “Il mio Dio provvederà a ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù”. Il Signore non è un pastore distratto, ma un Dio presente, che veglia sulle sue pecore anche nelle ore più buie.
Gesù stesso si definisce “il buon Pastore” (Gv 10,11), colui che dà la vita per le sue pecore. Questa immagine evangelica è centrale nella tradizione cristiana perché racchiude la missione redentrice di Cristo e la sua misericordia infinita. Il buon Pastore non fugge davanti al pericolo, ma si ferma, cura, fascia le ferite, carica sulle spalle la pecora smarrita e la riporta all’ovile.
Ecco perché, nella prova, il cristiano non crolla, ma si abbandona con fiducia nelle mani di Dio. Non perché la vita sia priva di sofferenza, ma perché la sofferenza stessa può diventare luogo d’incontro con Dio, occasione di salvezza. Come ricordava san Giovanni Paolo II, “Cristo non ci ha tolto la sofferenza, ma l’ha presa su di sé, e così ha dato un senso nuovo ad ogni nostro dolore”. Il Signore, che ci conosce fin nel profondo, sa di cosa abbiamo bisogno prima ancora che glielo chiediamo, e ci sostiene con la forza della Sua destra, come dice Isaia (41,10).
Quando la vita ci schiaccia con il peso delle preoccupazioni, quando sentiamo che “le acque sono troppo profonde” e che “la tempesta è troppo violenta”, possiamo ricordare questa verità fondamentale: Dio non ci lascia mai soli. L’immagine del Pastore che protegge il suo gregge non è solo un’immagine di tenerezza, ma anche di autorità, protezione e potenza.

La Provvidenza che non delude
Il Salmo 23, che si apre con le parole “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla”, è forse uno dei testi più conosciuti della Scrittura, ma anche uno dei più consolanti. È una professione di fede: “non manco di nulla” perché tutto ciò che mi serve — anche quando non corrisponde ai miei desideri — mi viene donato da Dio, che è Padre e Pastore. La Provvidenza divina non è una favola, ma una realtà riconosciuta da tutta la tradizione della Chiesa. Il Catechismo afferma chiaramente che Dio guida con sapienza e amore tutto il corso della storia verso il suo fine ultimo.
Ciò che conta è fidarsi. Fidarsi come Abramo, che partì senza sapere dove andava. Fidarsi come Maria, che disse il suo “fiat” senza sapere dove l’avrebbe condotta quell’obbedienza. Fidarsi come i santi, che hanno camminato per vie tortuose e dolorose, sostenuti da una sola certezza: Dio è fedele.
Nella tradizione cristiana, il discernimento vocazionale, la chiamata alla santità, e persino il martirio, si fondano su questa fiducia radicale in un Dio che provvede. E quando non comprendiamo, siamo chiamati non a fuggire, ma a restare, ad affidarci, a continuare a dire: “Il Signore è il mio pastore”, anche tra le lacrime.
La Chiesa ci invita a nutrirci della Parola, a ricevere i sacramenti, a rimanere uniti al Corpo di Cristo. Tutti questi doni sono segni visibili della cura del Pastore. Nella Confessione troviamo la misericordia che risana, nell’Eucaristia riceviamo il pane che nutre, nella preghiera impariamo a riconoscere la voce di colui che ci guida.
Fratello, sorella, non dimenticare mai: se il Signore è il tuo pastore, davvero non ti mancherà nulla. Anche quando tutto vacilla, anche quando non capisci il senso della tua croce, il Pastore cammina con te. E un giorno, alla fine del tempo, sentirai davvero quelle campane del cielo, e una voce familiare ti dirà: “Benvenuto a casa”.