Il conflitto a Gaza, che si trascina da quasi due anni, continua a mietere vittime e a lacerare il tessuto sociale di una regione già provata.
In questo scenario di stallo e sofferenza, l’eco delle preghiere si fa più forte. Mentre sul tavolo dei negoziati tra Israele e Hamas è stata posta una proposta di pace, la comunità internazionale di fede è chiamata a un’azione spirituale decisa. L’appello del Vescovo A. Elias Zaidan è un promemoria potente: non si può lasciar scappare l’opportunità di porre fine a questa devastazione, lavorando e pregando affinché il dialogo prevalga sulla violenza.
La crisi umanitaria e la richiesta di fede per un cessate il fuoco
Il persistente conflitto armato nella Striscia di Gaza richiede non solo un intervento diplomatico, ma anche un profondo impegno spirituale. È con questa convinzione che il Vescovo A. Elias Zaidan, presidente del Comitato per la Giustizia e la Pace Internazionale della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti (USCCB), ha lanciato un accorato appello a tutti i fedeli. Il suo messaggio è chiaro: in quanto parte della comunità globale e persone che condividono una fede e una preoccupazione per i popoli che vivono in quella “terra della vita, della morte e della gloriosa risurrezione di Cristo”, l’attuale spiraglio di pace non può essere ignorato.
In una dichiarazione rilasciata il 1° ottobre, Zaidan ha esortato i cattolici e, più in generale, tutti gli uomini e le donne di buona volontà a innalzare preghiere sincere e ferventi per la conclusione di questa guerra logorante. Questo sollecito è arrivato in un momento politicamente denso, subito dopo la presentazione di un piano di pace in 20 punti promosso dal presidente Donald Trump. Il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha manifestato la sua accettazione del piano. La risposta di Hamas, che detiene il controllo di Gaza, è invece ancora in fase di valutazione, senza che sia stata ancora fornita un’accettazione esplicita o una controproposta.
Il Vescovo Zaidan ha voluto anche sottolineare l’importanza della posizione della Santa Sede in questo delicato processo. Ha menzionato la speranza espressa da Papa Leone XIV che Hamas potesse giungere a un accordo, richiamando anche le parole del Santo Padre risalenti a maggio. In quell’occasione, il Papa aveva ribadito come lo “scopo più profondo della dottrina sociale della Chiesa” sia quello di contribuire concretamente alla pace e al dialogo, costruendo “ponti della fraternità universale”. Zaidan ha riconosciuto realisticamente che ogni iniziativa di pace, specialmente in un contesto così complesso, presenterà delle difficoltà, richiedendo il massimo della cooperazione e dello sforzo congiunto da tutte le parti coinvolte. La sua preghiera conclusiva si è rivolta a Nostra Signora, Sede della Saggezza, affinché ispiri una volontà genuina di raggiungere una soluzione pacifica.

I punti chiave del progetto di riconciliazione e le sfide da superare
Il piano di pace proposto è ambizioso e delinea una via d’uscita concreta dal conflitto. La sua accettazione da parte di Hamas comporterebbe un immediato cessate il fuoco e l’interruzione di tutte le operazioni militari israeliane, con un conseguente congelamento delle attuali linee di battaglia. Le truppe israeliane si ritirerebbero solo una volta che tutte le condizioni dell’accordo fossero state soddisfatte.
Un elemento centrale riguarda lo scambio di prigionieri: Hamas dovrebbe rilasciare tutti i prigionieri israeliani, sia quelli ancora in vita sia le spoglie dei deceduti, in cambio del rilascio da parte di Israele di circa 2.000 detenuti palestinesi. Cruciale per la stabilità futura è la smilitarizzazione di Hamas, che dovrebbe rinunciare al coinvolgimento in qualsiasi operazione di governo. Tuttavia, ai membri dell’organizzazione che accettassero di deporre le armi e di coesistere pacificamente con Israele verrebbe concessa l’amnistia, con la possibilità di rimanere a Gaza o di beneficiare di un passaggio sicuro.
Per assicurare la transizione, il governo di Gaza verrebbe affidato a un’amministrazione temporanea composta da palestinesi ed esperti internazionali, supervisionata dal presidente degli Stati Uniti e altri leader mondiali. L’accordo esclude qualsiasi espulsione forzata di residenti e garantisce che Israele non procederà con annessioni o occupazioni permanenti del territorio. Prevede anche la ripresa degli aiuti e l’istituzione di tariffe preferenziali per Gaza da parte dei paesi partecipanti.
La sicurezza a lungo termine sarebbe affidata a una forza di stabilizzazione internazionale temporanea, con la partecipazione di partner arabi come l’Egitto e la Giordania, che avrebbe il compito di formare la polizia locale. Il Vescovo Zaidan ha espresso particolare fiducia in due aspetti del piano: l’inclusione dei paesi vicini in un coordinamento multilaterale, riconoscendo l’interconnessione regionale, e soprattutto la previsione di un “processo di dialogo interreligioso” per rafforzare il senso di comunità tra israeliani e palestinesi.
Nonostante le promesse, il piano presenta alcune lacune. Sebbene indichi un “percorso credibile” verso la statalità palestinese, non fissa un calendario né offre garanzie esplicite. Questa è una questione delicata, considerando che la Santa Sede ha riconosciuto la Palestina come Stato nel 2015, in linea con oltre tre quarti dei paesi mondiali, ma a differenza di Stati Uniti e Israele. Un altro punto critico è la mancanza di disposizioni chiare sugli insediamenti israeliani nei territori palestinesi, un’attività che, come rilevato dalle Nazioni Unite, ha visto un’accelerazione anche recentemente, in risposta agli annunci di riconoscimento della statalità palestinese da parte di alcune nazioni europee. L’esortazione alla preghiera di Vescovo Zaidan, quindi, non è solo per la conclusione della guerra, ma anche per la saggezza necessaria ad affrontare e superare questi ostacoli.