Una testimonianza di fede davvero potente quella di Diane Foley, che perse il figlio James, reporter di guerra, ucciso dall’Isis nel 2014.
James Wright Foley era un giornalista freelance, che lavorava nelle aree di guerra, in Siria. Era il 2012 quando fu rapito proprio in questo contesto. A raccontare questa storia dolorosa ma dai contorni di fede potenti, è la madre di James, Diane, nel corso di una veglia di preghiera in Vaticano, lo scorso 15 settembre 2025, Festa della Madonna Addolorata.
Un momento commovente in cui la donna ha rivissuto, per alcuni istanti, un percorso di enorme sofferenza. Dopo il rapimento di James, infatti, per almeno dieci mesi, Diane non ebbe più notizie del figlio. «Non sentimmo più la sua voce fino a poco prima del suo orribile omicidio (James fu decapitato, ndr). Con il passare dei mesi, il mio calvario personale si intensificò.
Mio figlio innocente e dal cuore gentile era stato rapito sotto la minaccia di una pistola, venduto, tenuto prigioniero per il crimine di essere un giornalista, proprio come nostro Signore Gesù era stato condannato a morte per i nostri peccati».
In quel periodo, Diane decise di lasciare il suo impiego come infermiera, battendosi affinché il figlio fosse liberato. Nulla potè e nel luglio 2014, affidò James a Dio. Ma le cose, purtroppo, non andarono come avrebbe sperato, perché 15 giorni più tardi, James fu decapitato dall’Isis.
Per la donna fu a dir poco scioccante e il dolore la pervase completamente, misto a rabbia, non solo nei confronti dell’Isis, ma anche del governo Usa. Dentro di sé, una domanda continuava a non trovare risposta:«L’amarezza minacciava di consumarmi. Ricordo di aver gridato a Dio: ‘Signore, non è questo che intendevo quando ti ho affidato Jim! Come è potuto succedere?».
Dal buio del dolore alla luce, grazie all’esempio di Maria
Quello che colpisce di Diane Foley è la fede che è riuscita a far emergere, nonostante il dolore immenso che l’ha trafitta.

Continuò a pregare, a domandare a Dio la grazia di trovare la forza di perdonare. Si sentì fortemente supportata da Gesù e Maria, nonché da persone che le stettero assai vicino, in un periodo buio. Poi, l’esempio di Maria l’ha illuminata, «è stato particolarmente forte per me. Ha accompagnato suo figlio nella sua agonia e nella sua crocifissione. Anche quando non capiva perché dovesse andare così, ha avuto fiducia ed è rimasta fedele. Mi ha insegnato a fare lo stesso, a camminare nella fede, qualunque cosa accada».
Trascorsero alcuni anni, e uno degli assassini del figlio fu arrestato, Alexander Kotey. Ci fu un processo, che ebbe luogo nel 2021. L’uomo chiese di incontrare i familiari delle vittime. Diane decise di incontrarlo e lo fece conscia che suo figlio avrebbe voluto andare a fondo sulle motivazioni della radicalizzazione di quegli uomini.
Quell’incontro ebbe un impatto profondo sul modo di pensare di Diane, cambiando completamente il suo punto di vista. «Sebbene all’inizio strano, nel corso di tre giorni, questo incontro è diventato un momento di grazia. Lo Spirito Santo ci ha permesso di ascoltarci a vicenda, di piangere e di condividere le nostre storie. Alexander ha espresso un grande rimorso. E Dio mi ha dato la grazia di vederlo come un altro peccatore bisognoso di misericordia, come me».