Ogni giorno milioni di giovani scorrono contenuti sui social, alla ricerca di emozioni, risposte e senso. In questo mare digitale, alcuni testimoni di Cristo lanciano reti nuove, per pescare cuori affamati di verità.
Padre Heriberto García Arias è uno di loro: sacerdote messicano e volto noto su TikTok, ha fatto del Vangelo un linguaggio per la generazione digitale. La sua non è una strategia di visibilità, ma una vocazione profonda. Il suo obiettivo? Non fermarsi allo schermo, ma condurre i cuori fino all’altare. E la Chiesa, oggi, lo riconosce e lo sostiene.
Il sacerdote che parla il linguaggio dei social
In vista del Giubileo dei missionari digitali e degli influencer cattolici, che si terrà a Roma il 28 e 29 luglio, padre Heriberto García Arias offre una riflessione lucida e appassionata su cosa significhi oggi evangelizzare nel mondo digitale. Autore del libro di prossima uscita Missionari digitali: influencer o testimoni di Cristo oggi?, padre Heriberto è una voce autorevole e seguita: oltre 2 milioni di follower su TikTok e più di 200.000 su Instagram.
La sua missione non è attirare like, ma portare la luce di Cristo là dove i giovani trascorrono ore della loro giornata. “Molti cercano Dio, anche se non lo sanno. E se oggi la loro realtà è lo schermo, è lì che dobbiamo incontrarli”, spiega. Ma precisa con forza che il social è solo il mezzo, non il fine: “Il nostro compito è accompagnarli dallo schermo all’altare”.
Con alle spalle una solida formazione in comunicazione e un cuore aperto alla pastorale giovanile, padre Heriberto distingue nettamente tra chi si limita a influenzare e chi testimonia. L’influencer propone contenuti, talvolta anche in linea con valori cristiani; il missionario digitale, invece, parte da un incontro personale con Cristo e vuole condividerlo. Ed è proprio questa esperienza vissuta che, secondo lui, può toccare le corde più profonde dell’anima di chi guarda.
La sua presenza sui social nasce da una vera urgenza pastorale: intercettare le domande, spesso inespresse, di una generazione immersa nel digitale. “Abbiamo un messaggio potente e bellissimo, ma dobbiamo imparare a comunicarlo nella lingua dei giovani”, afferma. E proprio per questo motivo insiste sull’importanza della formazione per chi opera online: non si tratta solo di produrre contenuti, ma di essere radicati nella verità del Vangelo e uniti nella comunione ecclesiale.

Il digitale come via per toccare i cuori
Padre Heriberto guarda con speranza al riconoscimento ufficiale che la Chiesa sta dando a questa nuova forma di missione. “Solo pochi anni fa, il termine ‘missionario digitale’ era sconosciuto”, osserva. Oggi sono oltre 3.500 in tutto il mondo, segno che qualcosa si sta muovendo anche a livello istituzionale. E, nonostante qualche diffidenza iniziale, i frutti iniziano a vedersi.
Tra i tanti messaggi ricevuti, padre Heriberto racconta testimonianze commoventi: madri che hanno scelto la vita per i loro figli, giovani che hanno rinunciato al suicidio dopo aver ascoltato una parola di speranza, famiglie che hanno ritrovato la fede. “Lo Spirito Santo lavora anche attraverso gli algoritmi“, dice con convinzione.
Consapevole della visibilità che il suo ruolo comporta, è attento a non cedere alla tentazione dell’autoreferenzialità: “Non siamo noi i protagonisti, è Cristo che deve restare al centro”. Per questo, ribadisce l’importanza di non smarrire l’identità ecclesiale, affinché il messaggio non si svuoti e la Chiesa non perda credibilità.
Infine, trova nella benedizione del suo vescovo e nel sostegno della Chiesa una forza decisiva per continuare la sua opera. In un tempo in cui i confini della missione si sono allargati, padre Heriberto è il volto di una Chiesa che osa, ascolta, si adatta e testimonia. Una Chiesa che non teme di entrare nei nuovi areopaghi digitali per portare il Vangelo là dove l’uomo di oggi abita.