Il presepe rappresenta uno dei più bei simboli del Natale: racconta e mette in scena ciò che accadeva ai tempi di Gesù, nei momenti immediatamente precedenti la sua nascita, ed anche ciò che successe subito dopo.
Metterli in mostra non è sempre facile anche perché il tutto deve sempre basarsi su ciò che San Francesco, per la prima volta a Greccio, rappresentò. Ma ci sono artisti che hanno davvero le “mani ispirate”.
Uno di questi è il maestro presepiale Aldo Caliro, napoletano, entrato anche nel Guinness dei Primati.
L’arte dei presepi a Napoli: un maestro ci spiega come nasce
Parlare di presepe non è mai una cosa facile o semplice: si tratta, non solo di rappresentazione figurativa o artistica, ma soprattutto di un qualcosa che abbia a che fare con lo spirituale. Sono davvero coloro che creano presepi, che si improvvisano maestri ma che non sempre riescono a mettere in atto e in pratica la vera rappresentazione della nascita di Gesù, anche contestualizzandola nel momento storico preciso nella quale essa è avvenuta.
C’è invece chi la maestria ce l’ha nelle proprie mani e che ha fatto dell’arte figurativa e dei presepi la sua ragione di vita. Uno di questi è il maestro Aldo Caliro, napoletano doc e con la passione per la creazione e la costruzione dei presepi. Creare un presepe non è un qualcosa che si improvvisa in pochi giorni, ma ci vogliono giorni, se non anche mesi, di studio e di prove, prima di mettere in pratica la sua costruzione.
Aldo, in questo, è un vero e proprio maestro, tanto da essere entrato anche nel Guinness dei Primati per aver realizzato due fra i più piccoli presepi al mondo. Così piccoli che possono essere osservati solo con una lente di ingrandimento, ma che hanno al loro interno tutto ciò che basta, a partire dal Bambino Gesù, fino a Maria e a Giuseppe.
Lo abbiamo incontrato per farci raccontare, non solo di queste sue opere d’arte, ma anche per presentarci l’ultima “creazione” (se così si può chiamare): un presepe, realizzato per la parrocchia “Nostra Signora di Lourdes” di Capodichino (Napoli) dove, al centro, vi è la Terra Santa com’è oggi, dove la luce di Gesù Bambino si fa spazio fra la distruzione e le tenebre della guerra.
Un presepe che il maestro Caliro ha costruito con l’aiuto di fedeli compagni ed amici: Gennaro La Mura, Enzo Garofalo, Enzo Orefice, Peppe Vinciguerra e Mario Provenzano.
Aldo Caliro: “La mia arte nasce quand’ero bambino”
Ascoltiamo dalla sua voce come è nata questa passione per i presepi: “Io sono un umile servitore dell’arte. Non mi ritengo maestro: parlo e mangio di arte. Tutto quello che vedo è tutto arte. Come sono arrivato ai presepi? Mi ricordo che avevo 5-6 anni ed ero a casa di una mia zia e lì c’era il fratello di mio padre che amava fare i presepi come si facevano una volta, con le statuine fatte di colla e farina, che poi venivano dipinti.

E la prima volta che andai a vedere questo presepio fatto da mio zio, mi incantai nel vedere un pastore. Non lo so, mi attraeva perché era un essere che per me aveva vita. Si muoveva, non come un pastore qualsiasi. Fui preso da quella emozione che rubai quel pastore e me lo misi in tasca. Al ritorno, in macchina, mio padre si rivolse a mia madre, dicendo: “Ma che sta facendo? Non lo sento parlare?”.
Io stavo nascosto dietro il sedile della macchina e guardavo nella mano questo pastore. Quando arriviamo a casa, mio padre si accorse che avevo rubato il pastore. Da quel pastore è iniziata tutta la mia arte. Iniziai a crearli da me, tagliavo e incollavo carta e cartone.
A scuola, poi, si accorsero delle mie tendenze artistiche, da lì poi l’Accademia e tutto il percorso fatto. Vivo per questo perché amo l’arte”.
Tantissime sono le persone che, nel corso degli anni, si sono recate alla bottega di Aldo, in una delle più caratteristiche vie di Napoli (in via San Biagio dei Librai): provenivano davvero da ogni parte del mondo, personaggi famosi e non, gente comune. Tutti che hanno apprezzato, e continuano ancora oggi, ad apprezzare la sua fine arte presepiale.
Un presepe che guarda alla Palestina di oggi
Ed è proprio la sua arte che ha deciso di portare in questa parrocchia di Napoli, a Capodichino, rappresentando un presepe, il cui sfondo è diverso dal solito: “Ho voluto, non trascrivere quello che comunque nel Vangelo si racconta nella nascita di Cristo, ma semplicemente riferire come ciò sia realmente accaduto.

Ci ritroviamo in un contesto particolare, non c’era la possibilità di avere alloggio: ecco, allora, che si andava nelle grotte che erano state allestite a stalle e in queste stalle, addirittura, venivano ospitate dalle persone. Queste non potevano dormire e quindi stendevano le loro cose a terra e lì dormivano. Io l’ho voluto rappresentare proprio quella grotta e l’intorno di come è oggi la terra santa, alla Palestina tutto quello che sta succedendo.
Maria, Giuseppe e il bambinello che cos’hanno di particolare? Maria ha i vestiti logori: all’epoca era così purtroppo. Anche i pastori che noi vediamo, hanno i vestiti logori, volendoli riportare all’epoca. C’è da dire che ho preferito mettere il Bambino al centro con, leggermente spostati più indietro, Maria e Giuseppe. Gesù deve essere il centro della scena, la sua nascita, perché è quella la bellezza del presepe”.
Aldo e il Guinness dei primati: il presepe in uno spillo
Da qui, poi, la domanda cardine, ovvero quella che ha portato il maestro Aldo nel Guinness dei primati, ovvero il suo presepe in uno spillo o in una fibra ottica: “Fra i due, qual è il più bello? E quanto tempo hai impiegato per realizzarlo?”.

“39 anni per fare quello nello spillo perché è stata un’esperienza che man mano ho coltivato per poi raggiungere quella misura, ed è unico nel suo genere, non ve ne sono altre copie. Per creare i pastori ho usato un bisturi per assemblarli e per dipingerli ho usato un pelo di un pennello. Perché ha fatto questa cosa? Perché questo presepe così piccolo?
Perché i nostri i nostri pensieri, le nostre cose belle o brutte dove li andiamo a nascondere? Nelle parti più nascoste possibili più piccole, dove nessuno le trova: è quello che io ho voluto fare, ovvero nascondere il mio pensiero, la mia forza, la mia gioia in un qualche cosa di non visibile a tutti, visibile ai pochi perché senza la lente di ingrandimento nessuno riesce a vederlo”.
Un’arte davvero unica nel suo genere, tanto da entrare nel Guinness dei record al mondo.