Durante l’udienza generale del 1° ottobre 2025, Papa Leone XIV ha offerto una riflessione intensa sul significato delle parole pronunciate dal Cristo risorto: “La pace sia con voi!”.
Non si tratta di un saluto qualunque, ma di un invito a guardare le proprie fragilità con occhi nuovi. Le ferite, ha spiegato il Pontefice, non devono essere motivo di vergogna, bensì segni di speranza e strumenti di riconciliazione. La missione della Chiesa, ha aggiunto, non è esercitare potere sugli altri, ma trasmettere la gioia di un amore ricevuto gratuitamente, che trasforma anche la sofferenza in cammino di vita nuova.
La pace come dono inatteso del Risorto
Davanti a piazza San Pietro gremita, Leone XIV ha richiamato i fedeli a riscoprire il cuore della fede cristiana: non un potere da imporre, ma un amore che salva senza condizioni. «Il compito della Chiesa – ha detto – non è quello di amministrare un’autorità sugli uomini, bensì di comunicare la gioia di chi si è scoperto amato quando non lo meritava».
Il Papa ha preso spunto dalle prime parole di Gesù ai discepoli dopo la resurrezione: “La pace sia con voi!”. Con quella frase, pronunciata in una stanza chiusa dove i discepoli erano paralizzati dalla paura, Cristo non offre un trionfo appariscente né una rivincita sui nemici, ma una pace che disarma ogni logica di vendetta. Gesù non si presenta come un vincitore che umilia, ma come un amico che mostra le cicatrici del suo amore.
«Egli non si vendica – ha ribadito Leone XIV – ma porta un dono che nessuno avrebbe osato sperare: la pace». Un gesto tanto più sorprendente perché accompagnato dalla rivelazione delle ferite: segni di dolore che diventano, nelle sue mani e nel suo costato, la prova concreta che l’amore non è stato cancellato dalla croce, ma reso eterno.
Il Pontefice ha ricordato che l’incontro del Risorto con i discepoli è un’immagine potente di ciò che accade dopo un trauma: la reazione spontanea sarebbe il rancore o il desiderio di far pagare a qualcuno la sofferenza subita. Cristo, invece, mostra che esiste una strada diversa: trasformare la propria vulnerabilità in occasione di pace, senza farne un’arma di condanna.

Ferite trasfigurate in speranza
Nella seconda parte della sua catechesi, Leone XIV ha sottolineato come spesso gli uomini cerchino di nascondere le proprie ferite per orgoglio o per paura di apparire fragili. Al contrario, le piaghe di Cristo dimostrano che il dolore, se offerto, può diventare segno di riconciliazione. «Quelle ferite non sono usate per rimproverare – ha spiegato – ma per confermare un amore più forte di ogni tradimento».
Il Papa ha messo in evidenza che la resurrezione non cancella il passato come se nulla fosse accaduto, ma lo trasfigura. Le cicatrici non spariscono, diventano invece testimonianza di misericordia: memoria viva di un amore capace di trasformare la sconfitta in speranza.
Da questo nasce anche la missione dei cristiani. Gesù, dopo aver donato la pace, invia i suoi discepoli nel mondo con un mandato preciso: essere strumenti di riconciliazione. Non si tratta di un compito riservato a pochi, ma di una chiamata universale. Ogni battezzato, ha ricordato Leone XIV, è chiamato a diventare segno concreto di perdono, a partire proprio dalle ferite che porta nel cuore.
Il Papa ha concluso invitando i fedeli a non temere di mostrare le proprie fragilità, perché è proprio lì che Dio rivela la sua forza. «Cristo – ha detto – si presenta nudo e disarmato, e ci insegna che la pace è frutto di chi ha sofferto per amore e può finalmente affermare che ne è valsa la pena».