Santi e Beati che hanno affrontato infermità e disabilità - medjugorje.it
Infermità, rifiuto e disabilità hanno attraversato la vita di diversi Santi che hanno affrontato tutto con fede e abbandono all’amore di Dio.
La sofferenza tocca a diversi livelli la vita di tutti e per alcuni si manifesta in modo più forte ed eclatante. Anche le più grandi prove in situazioni di malattie fisiche, disabilità e rifiuto possono essere vie attraverso cui raggiungere la santità. Lo dimostrano le storie di alcuni Santi e Beati che hanno vissuto terribili condizioni di dolore in uno stretto rapporto d’amore con il Signore.
La paralisi fisica, la perdita della vista, varie malattie e il disprezzo e l’emarginazione: sono solo alcune delle situazioni che Santi come Margherita di Castello, Germana Cousin, o i Beati, Alexandrina da Costa, Ermanno di Reichenau, Michał Giedroyć, Elżbieta Róża Czacka hanno sperimentato, e i modi in cui le hanno vissute rendono gloria a Dio.
Santa Margherita di Castello era nata con una serie di gravi malformazioni e per la sua famiglia aristocratica del XIII secolo era una vergogna. La facevano vivere nascosta e confinata in isolamento in una cella. Dopo aver chiesto un miracolo che non arrivò i genitori la abbandonarono per le strade e solo delle famiglie povere si presero cura di lei. La sua fede era grande e non provava rancore verso chi l’aveva abbandonata, ma pregava per loro. Morì a 33 anni in odore di santità e il suo corpo secoli dopo fu trovato incorrotto. È considerata la patrona dei ciechi, dei disabili e degli indesiderati.
Anche santa Germana Cousin nacque, in Francia nell’Ottocento, fragile e malata. Aveva un braccio paralizzato e deforme, e vari tumori al collo. Perse la mamma da piccola e dopo che il padre si risposò la matrigna la trattava male picchiandola ed esponendola ad ogni sorta di privazione. Veniva trattata come gli animali. La frequentazione della Chiesa la portò ad una fede grande. Pregava per gli altri, emanava perdono e gentilezza. La sua vita finì a 22 anni stremata dalle fatiche a cui era sottoposta. Oggi è la patrona dei disabili fisici e di tutte le vittime di violenza domestica.
Altro disabile fu il beato Michał Giedroyć, che proveniva da una nobile famiglia polacca nel Quattrocento. Colpito da una disabilità alla gamba fin dall’infanzia non potè intraprendere la carriera che spettava al suo rango. Fu perciò destinato al sacerdozio ed entrò nel monastero dei Canonici di Sant’Agostino. Zoppicava appoggiandosi ad un bastone e svolgeva semplici lavori da sacrestano. Gli furono dati doni soprannaturali e gli venivano attribuite profezie e l’intercessione di guarigioni. Il suo segreto era la pazienza, che sviluppò quando il Signore gli disse: ““Sii paziente fino alla morte e ti darò la corona della vita “.
La beata Elżbieta Róża Czacka, vissuta a cavallo tra Ottocento e Novecento in Polonia ed è nota come la “madre dei ciechi“. Faceva parte dell’aristocrazia e svolgeva una vita brillante quando perse la vista in seguito ad un incidente in cui cadde da cavallo. Attorno a sé tutti la compiangevano, ma lei non si perse d’animo e con grande fede decise di affrontare questa condizione dedicandosi agli altri. Trascorse molti anni a studiare metodi per lavorare con i non vedenti. Fondò la Società per la Cura dei Ciechi a Varsavia e organizzò le prime scuole e laboratori per non vedenti in Polonia. Fu fondata poi una scuola, un collegio e un luogo di riabilitazione per non vedenti e insieme un centro di formazione spirituale.
La beata Alexandrina da Costa, portoghese, è una straordinaria testimone di come la sofferenza possa trasformarsi in preghiera. A 14 anni per sfuggire alla violenza di alcuni aggressori si lanciò da una finestra e subì per questo una lesione alla colonna vertebrale. Le prime difficoltà motorie peggiorarono a 19 anni portandola alla completa paralisi. Visse a letto per 30 anni. Inizialmente chiedeva il miracolo della guarigione, poi comprese che la sua vocazione era offrire la sua sofferenza. “La Madonna mi ha dato una grazia ancora più grande: prima, l’offerta di me stessa, poi la completa unione con la volontà di Dio e, infine, il desiderio di soffrire ” rivelò anni dopo. Viveva misticamente la sofferenza della Passione del Signore e il suo tormento fu anche interiore, oltre all’incomprensione di parte del clero che subì. Ma viveva di preghiera e dava agli altri consigli e sostegno spirituale raggiungendo le vette della santità.
Il beato Ermanno di Reichenau nacque con paralisi cerebrale e varie malfomazioni in una famiglia nobile dell’XI secolo. Il suo corpo era deforme, non poteva camminare e anche per sedersi aveva bisogno di aiuto. Faceva fatica a parlare, ma i genitori lo affidarono alle cure dei monaci benedettini che gli insegnarono a leggere, scrivere. Divenne un erudito studiando matematica, astronomia, storia e teologia. Dettava trattati scientifici e ideò il primo astrolabio in Europa. Quando perse la vista si dedicò alla composizione musicale inventando i famosi inni cattolici “Salve Regina” e “Alma Redemptoris Mater”. Era sempre sorridente, gentile e pieno di umorismo. Morì a 40 anni e la sua fama di santità si diffuse rapidamente. Diceva: “La malattia può privare il corpo della forza, ma non deve rubare il cuore della gioia“.