Vangelo di oggi 25 ottobre: "Tempo di Conversione e non di castigo"
Il brano del Vangelo di oggi ci invita a non cercare colpevoli, ma a guardare dentro di noi. Non ogni disgrazia è una punizione divina.
Dio non castiga, ma richiama alla conversione. Le tragedie non servono a giudicare gli altri, bensì a ricordarci che la vita è fragile e preziosa. La parabola del fico sterile parla della pazienza di Dio: Egli non si stanca di attendere il nostro cambiamento, ma si impegna ancora a “zappare” e “concimare” la nostra vita perché porti frutto. È un Vangelo di misericordia ed urgenza insieme: il tempo della conversione è oggi.
In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
Alcuni raccontano a Gesù un fatto sanguinoso: Pilato aveva fatto uccidere dei Galilei mentre offrivano sacrifici. Forse volevano che Gesù commentasse politicamente, oppure che confermasse l’idea, molto diffusa allora, che chi subiva una disgrazia fosse punito da Dio per i suoi peccati. Ma Gesù sposta completamente la prospettiva: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori? No, io vi dico; ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Gesù ci libera da una visione superstiziosa di Dio: non è un giudice che punisce, ma un Padre che invita al cambiamento. Gli eventi tragici non sono “castighi”, ma richiami alla responsabilità personale. Anche quando parla della torre di Sìloe crollata su diciotto persone, Gesù non si concentra sul “perché” della disgrazia, ma sul “per chi”: serve a noi, per risvegliarci, per ricordarci che il tempo non è infinito e che la conversione non va rimandata.
Segue la parabola del fico sterile. Il padrone cerca frutti da tre anni e non ne trova: vuole tagliarlo. Ma il vignaiolo — figura bellissima di Cristo stesso — intercede: «Lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e messo il concime». È l’immagine della pazienza divina. Dio non si arrende di fronte alla nostra sterilità: continua a curarci, a nutrirci con la sua parola, a lavorare il “terreno” del cuore perché possiamo rinascere e portare frutto.
Eppure il tempo non è infinito: «Vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai». La misericordia non elimina la responsabilità. Il Signore ci offre tempo e grazia, ma ci chiede anche risposta. Vivere la conversione significa permettere a Dio di rinnovarci dentro, di trasformare il nostro modo di pensare, di amare, di agire.
Ogni evento della vita, lieto o doloroso, è un invito alla conversione, non alla paura. Gesù ci chiama a passare dal giudizio alla compassione, dall’indifferenza alla cura, dalla sterilità al frutto.
Signore, Tu non mi giudichi, ma mi attendi. Donami un cuore nuovo, capace di portare frutti di amore. Fa’ che non sprechi il tempo della grazia, ma che, sostenuto dalla Tua pazienza, mi lasci lavorare da Te come il fico nella Tua vigna. Amen.