Vangelo di oggi 4 ottobre: "la promessa di pace di Gesù"
Il brano del Vangelo di oggi è una preghiera di lode al Padre ed un invito pieno di tenerezza a chi è stanco e oppresso.
Il cuore del Vangelo si rivela qui: Dio non si rivela ai sapienti ed ai potenti, ma ai piccoli, a chi ha un cuore umile e aperto. Gesù si presenta come il Figlio che conosce il Padre e che desidera farlo conoscere a noi. E poi pronuncia parole che rimangono balsamo per ogni tempo: «Venite a me… e io vi darò ristoro». Una promessa di pace vera, frutto della Sua mitezza.
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Gesù si rivolge al Padre con una lode spontanea. La sua preghiera nasce dalla constatazione che il mistero del Regno non è accessibile attraverso la cultura, l’intelligenza o il potere, ma è rivelato ai piccoli, cioè a coloro che hanno cuore libero, povero, disponibile. È una logica che ribalta i criteri umani: i sapienti rischiano di chiudersi nella loro autosufficienza, i piccoli invece si lasciano sorprendere dal dono di Dio.
Questa rivelazione ha una sorgente precisa: la benevolenza del Padre. Non si tratta di un privilegio riservato a pochi, ma di una scelta d’amore che mette al centro chi non conta, chi è fragile, chi non ha titoli da vantare. Gesù, il Figlio, è il mediatore unico di questa conoscenza: nessuno può accedere al Padre se non attraverso di Lui. È la relazione intima e reciproca tra Padre e Figlio che diventa dono per l’umanità.
Dopo la preghiera, le parole di Gesù si trasformano in invito: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi». Qui si apre la dimensione più pastorale e concreta del Vangelo. Gesù non parla ai forti ed ai vincenti, ma a chi porta il peso della vita, a chi è affaticato e schiacciato da fatiche, ingiustizie o colpe. Non promette di togliere i pesi, ma di donarci un modo nuovo di portarli insieme a Lui.
Il “giogo” di Gesù, immagine presa dal mondo agricolo, non è un peso che opprime, ma una relazione che libera. È un giogo “dolce” perché Gesù lo porta con noi; è un “peso leggero” perché è carico d’amore. Accettare il suo giogo significa imparare da Lui la mitezza e l’umiltà di cuore. Non è una lezione teorica, ma una scuola di vita: vivere nell’affidamento, senza arroganza, accogliendo la propria fragilità e quella degli altri.
Il ristoro che Cristo promette non è solo consolazione interiore, ma una pace che nasce dall’essere amati ed accompagnati. È la pace che nessun potere umano può dare. In questo brano emerge tutta l’essenza del cristianesimo: un Dio che non schiaccia, ma solleva; non un maestro severo, ma un fratello che ci guida con dolcezza.
Signore Gesù, mite e umile di cuore, Ti ringrazio perché mi chiami a venire a Te con tutte le mie fatiche. Donami di imparare la Tua mitezza, di lasciarmi guidare dal Tuo amore e di trovare ristoro nel cammino della vita. Fa’ che il Tuo giogo diventi per me leggerezza e pace. Amen.