Dal Parlamento inglese arriva la proposta di ampliare le possibilità di suicidio assistito senza escludere le donne in gravidanza.
Che la gravidanza non costituisca un ostacolo al suicidio assistito: è la proposta che arriva da un parlamentare inglese. Non si tutela la vita, ma si cerca di promuovere più possibilità di morte. Emerge proprio questo dall’idea, in linea con un’aberrante esaltazione dell’autoderminazione umana, e in particolare di quella della donna, che travalica ragioni e sentimenti, o per lo meno, quelli orientati al bene.
Lo scorso 12 dicembre, Lord Charles Leslie Falconer, Barone di Thoroton, membro del Parlamento del Regno Unito, ha fatto un’affermazione che a molti fa rabbrividire, ma purtroppo non a tutti. Si stava discutendo sul tema del suicidio assistito, e già questo argomento implica una riflessione approfondita e su più punti. Ma in più, Lord Falconer, si è introdotto nel dibattito affermando che la gravidanza non deve rappresentare un ostacolo al suicidio assistito, qualora la donna lo voglia.
La proposta agghiacciante del parlamentare inglese: suicidio assistito anche in gravidanza
A dimostrazione che sul tema del cosiddetto “fine vita”, così come sul suo inizio, alla base di una posizione o di un’altra c’è la profonda visione della vita che inesorabilmente deriva dall’aver sì o no nell’orizzonte il Dio Creatore e Padre.

Riconoscersi creature, ciò che realmente è l’essere umano, e ammettere la derivazione da un Dio Creatore è già un punto di partenza, per l’accoglimento della fede e per un retto uso della ragione. Le due cose, peraltro, vanno di pari passo e non si escludono, ma si conciliano perfettamente.
Per il Barone, e per chi sposa la sua linea, la difesa deve essere della libertà di determinare se stessi, sempre e in qualsiasi circostanza. Ne consegue, infatti, che per il parlamentare inglese, l’accesso al suicidio assistito non dovrebbe esser precluso a nessuno, compresi persone con disabilità, giovani, persone senza fissa dimora, detenuti. Tra le categorie finora escluse dai paletti che normano la possibilità di darsi la morte con l’aiuto altrui, in forma “medicalmente assistita“, ci sono le donne in stato di gravidanza.
Il duello tra vita e morte
La donna incinta, peraltro, non è sola: ha dentro il suo grembo un altro essere umano che si sta formando. Decidendo di uccidersi, ucciderebbe conseguentemente anche lui. Ma questo non sembra interessare al Lord inglese, per cui è solo la decisione della donna che conta. D’altra parte il nascituro viene riconosciuto come soggetto di diritto solo alla nascita o in alcuni stadi della sua crescita intrauterina, al di là della logica che fa comprendere che si tratta sempre della stessa entità fin dal momento del concepimento.
La vita umana che esiste e si sta sviluppando nell’utero materno non deve costituire un impedimento per accedere al suicidio secondo quest’ottica che predilige la scelta di morte a quella di vita. La “cultura della morte” di cui parlava San Giovanni Paolo II continua a far passi in avanti e a dominare ampi spazi. L’ Io che sta dietro questa mentalità si ingigantisce a dismisura. Non è retorica, è realtà: se Dio è tolto dalla scena della vita, il proprio Io ne prende il posto. Non si adora Lui, il Creatore da cui ognuno dipende, ma si idolatra se stessi e la propria volontà.
Proprio quella volontà che si rifiuta di guardare in alto e riconoscere una dipendenza ontologica da cui scaturisce la consapevolezza e la percezione di un amore che dà slancio vitale, cerca di affermarsi imponendo tutto il contrario: la morte, l’annientamento. Dopo decenni in cui la vita nascente è negata, minimizzata nella sua importanza, reificata, l’ovvia conseguenza è la proposta del parlamentare inglese, non c’è da stupirsi.